Il Sestiere

Questo progetto nasce dalla volontà di raccontare Venezia con uno sguardo autentico e consapevole, valorizzando il patrimonio storico, culturale e ambientale. Siamo un gruppo di studenti universitari che, spinti dalla passione per questa città straordinaria, desiderano contribuire a un racconto che vada oltre l'immagine turistica di Venezia.

Attraverso articoli, reportage e approfondimenti, vogliamo mettere in luce le molteplici sfaccettature di un territorio unico al mondo: dalla sua storia millenaria alle sfide che affronta oggi, dalle tradizioni che ne costituiscono l'anima alle innovazioni che possono guidarne il futuro.

Il nostro obiettivo è avvicinare il lettore a una Venezia vissuta, complessa e spesso poco conosciuta, invitandolo a riflettere sulla relazione tra città e laguna, tra memoria e modernità. Crediamo che raccontare Venezia significhi non solo celebrarne la bellezza, ma anche interrogarsi sul suo ruolo e sul suo destino in un mondo in continua evoluzione.

Il team de “Il Sestiere" e i caporedattori, Rebecca Basso e Ozan Posluk, vi danno il benvenuto e vi augurano una buona lettura.

Un film per riflettere

“Per un figlio” di Suranga Deshapriya Katugampala


In data 11 dicembre, tramite la rassegna cinematografica INVOLVED! MOVIELAB”, il film “Per un figlio” è stato presentato presso la casa di The Human Safety Net.

Il film di Suranga Deshapriya Katugampala tratta temi d’attualità come genitorialità e inclusione sociale, che giocano un ruolo fondamentale nel delineare la crescita e la definitiva emancipazione del protagonista.

Per la fondazione questi temi sono cari e costituiscono il perno attorno al quale i vari progetti a fine filantropico di questa ruotano. Infatti, questa ha programmi attivi che sostengono le famiglie vulnerabili e l’inclusione delle persone svantaggiate attraverso il lavoro e l’imprenditorialità in tutto il globo. In particolar modo, come spiegato da Alexia Boro e Francesca Grisot, rispettivamente direttrice e community manager di the Home of The Human Safety Net, è centrale la salvaguardia dei bambini e dei rifugiati nei contesti più disagiati.

Dunque il lungometraggio rappresenta a pieno la volontà di trattare questi temi, attivando la comunità cittadina e quella studentesca, inducendo queste al confronto su tematiche ad alto impatto sociale come quelle precedentemente trattate.

A rappresentare questa volontà Polis che, assieme all’associazione Baba Jaga, si è occupata in prima linea dell’organizzazione e della coordinazione di questo evento.

Altre realtà inoltre, su tutti Culturit Venezia, QuartaParete, Animare Venezia, JeVe, Sumus ed Invenicement, hanno contribuito significativamente alla realizzazione di questa serata, permettendo di instaurare un dialogo su temi sempre più attuali.

Al centro di questo confronto presente proprio il regista, il quale ha risolto dubbi e permesso approfondimenti incalzato dal professore Francesco Della Puppa, docente di sociologia presso Ca’ Foscari.

Prima della proiezione, Simone Rizzo, presidente di Polis, ha ribadito l’importanza di comprendere il nostro soggiorno a Venezia come un’occasione unica per scoprire e re-interpretare il potenziale di ciascuno, e di come questa serata rappresenti dunque l’inizio di un percorso che non domanda la mera partecipazione passiva. La sfida è quella di una presenza viva, consapevole, che studia le questioni del nostro tempo e che agisce perché da queste nascono nuove opportunità.

Il lungometraggio

“Per un figlio” porta su schermo una vivida rappresentazione di temi come identità culturale, conflitto intergenerazionale e senso di appartenenza.

Il film è incentrato sul rapporto tra Sunita, donna Srilankese emigrata in Italia, e suo figlio adolescente sospeso tra due mondi, il quale soffre questo scontro culturale.

Il lungometraggio riesce, tramite immagini forti e potenti simbolismi, a far calare lo spettatore in un contesto di tensioni culturali e familiari vissute ai bordi di una società con riti e culture aliene, inducendolo a riflettere sulla natura della coesistenza di coscienze e visioni diverse.

Queste tensioni trovano soprattutto sfogo nell’incapacità di Sunita di instaurare un rapporto con il proprio figlio. La madre, la cui mentalità è radicata nei valori tradizionali della sua terra d’origine, non riesce a comprendere ed aiutare il figlio, che la vede come una presenza ostile e castrante nei suoi confronti; il tutto è accentuato dalla distanza dovuta al lavoro della madre, costretta a passare gran parte delle giornate e, a volte, notti intere fuori casa.

Emblematica di questo scontro tra madre e figlio e, più generalmente, tra prospettive culturali diverse è la scena del rituale: durante un rituale tradizionale srilankese con cui Sunita spera di purificare il figlio (dopo aver scoperto poster rappresentanti donne nude nel suo armadio, scabrosi per lei) lui guarda video sul telefono, rimanendo del tutto disinteressato da quello che succede intorno a lui. Risulta chiaro come il figlio rigetti la madre come rappresentazione della sua cultura d’origine, verso la quale prova disinteresse e a tratti vergogna. Tutto ciò porta a una convivenza sentita come obbligatoria e forzosa con la madre che, nonostante tutti gli sforzi, non sembra riuscire ad ottenere la considerazione del figlio.

Un'importante traccia della difficoltà nell’instaurare un rapporto caloroso e solidale tra madre e figlio è costituita dall’anziana presso cui Sunita svolge il suo lavoro. Anche lei, trascurata dai suoi cinque figli, presi dai loro impegni quotidiani, si sente profondamente sola. Sunita, unica persona che volente o nolente mantiene con lei interazioni quotidiane, e a cui viene delegato l’onere di curare la donna, comincia a sentire, tra alti e bassi, un attaccamento emotivo sempre più forte con l’anziana per via del sentimento di solitudine che condivide con lei.

Altro tema, strettamente collegato a quello del conflitto madre-figlio è quello della maternità stessa. Il figlio di Sunita sente la mancanza di una figura materna, che è sempre stata lontana da lui. Scopriamo infatti durante il film che Sunita non lo ha mai allattato, cosa che più avanti negli anni ha aumentato le distanze tra i due. Il seno materno e l’allattamento diventano, in questo senso, il simbolo della maternità ricercata dal ragazzo, che arriva persino a pagare una prostituta (con soldi rubati dai risparmi della madre) con cui non riesce ad avere un rapporto sessuale, ma che, con lui in grembo in posizione fetale, sembra quasi allattarlo. Nell’ultima scena del film si vede il figlio di Sunita a tavola con la madre che alza la testa a guardarla, a simboleggiare, come dirà poi il regista stesso, “uno slancio alla comunicabilità e alla riconciliazione”.

Il dibattito

Dopo la visione del lungometraggio è stata intavolata una sessione di Q&A con il regista Suranga Deshapriya Katugampala e il professor Della Puppa, con la moderazione di Agnese Bettarelli di Polis. Durante questa discussione, il regista ha rivelato i retroscena della pellicola, raccontando tutto l’iter seguito durante le fasi di registrazione, montaggio e produzione del film. Katugampala si è successivamente soffermato a spiegare alcuni dei messaggi che egli voleva comunicare con il film, come l’idea delle origini e delle tradizioni come un luogo di (Rousseauuiana) purezza e innocenza. Il regista ha inoltre spiegato come egli abbia voluto lasciare intenzionalmente delle “zone oscure" nella trama, dei veri e propri “buchi” nel tessuto narrativo del film. Lo spettatore, dovendo colmare questi buchi “guardando a se stesso” (per usare le parole del regista), riesce così ad immergersi ancora di più nel contesto del film.

Un interessante spunto di riflessione fornito da Katugampala è stato quello della ricezione da parte del pubblico Srilankese della pellicola. Molti Srilankesi (specialmente quelli di età più avanzata) hanno criticato il film, perché non era un film in sé e per sé secondo i loro canoni di giudizio. Tutt’altra reazione invece è stata quella delle nuove generazioni, le quali lo hanno accolto più favorevolmente, interpretandolo come un invito a raccontare le loro storie.

In conclusione, questo evento di Human Safety Net è stato un importante momento privato ed intimo per ognuno che vi ha partecipato. Tutti i presenti hanno avuto modo di riflettere riguardo a tematiche complesse e quotidiane come l’integrazione, il conflitto e la quotidianità. Questa esperienza indubbiamente chiama un’altra simile occasione di introspezione per tutti noi per poter riflettere ancora più a fondo riguardo tematiche così importanti e presenti nella vita di ognuno.

Di Lorenzo Viterbo e Tommaso Noce Porta

Qual è la competitività di Venezia nell’economia globale?

Discussione a partire da “Periferie Competitive: Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza” di Giulio Buciuni e Giancarlo Corò

In un contesto in cui le grandi città attraggono talenti, investimenti e progetti, come si può favorire la crescita di aree incapaci di competere con questo modello di sviluppo? Questa domanda, particolarmente rilevante per territori come la laguna di Venezia, è stata affrontata da Giulio Buciuni e Giancarlo Corò, economisti e docenti rispettivamente presso il Trinity College di Dublino e l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Il 27 novembre 2024, gli autori hanno presentato il libro “Periferie Competitive: Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza", discutendo con studenti e spettatori incuriositi dal tema proposto. L’incontro, moderato da Riccardo Gilioli, ha offerto una panoramica dettagliata sulla situazione, evidenziando il dualismo tra le cosiddette “Alpha Cities” – poli attrattivi di capitale materiale e immateriale – e le zone periferiche, spesso escluse da tali dinamiche e costrette ad affrontare sfide decisive per il loro futuro.

Tra le proposte emerse, sono state presentate possibili strategie e istanze storiche per promuovere uno sviluppo più inclusivo e sostenibile, aspetto particolarmente rilevante per il capoluogo veneto. A dimostrare ciò, il vice sindaco Andrea Tomaello ha enunciato la volontà di collaborare per valorizzare tali discussioni, mostrando interesse nell’investire sulle tematiche derivate dal dialogo.

La seconda parte dell’evento, svoltasi nel pomeriggio presso "The Human Safety Net”, ha permesso la discussione con ospiti di prim’ordine di tali aspetti, cruciali per comprendere e contrastare questa tendenza.

“Periferie competitive, lo sviluppo dei territori nell'economia della conoscenza”

Per comprendere a fondo il lavoro di Buciuni e Corò, e dunque analizzare criticamente la società in cui viviamo, è necessario inquadrare il periodo storico e confrontarsi con un cambio paradigmatico nei contesti economici e impresari.
La seconda parte del secolo scorso, teatro del miracolo economico italiano, era caratterizzata da un modello diametralmente opposto a quello attuale: lo sviluppo industriale era tipicamente centrifugo e coesistevano molteplici poli economici, ciascuno specializzato in un settore specifico, la cui simile struttura è, a oggi, considerata anacronistica.
Si è ormai consolidato un modello di geografia economica diverso, in cui
asset immateriali - risorse umane e finanziarie - sono accentrati in pochi nuclei sviluppati ben definiti.

Dunque si può parlare di “economia della conoscenza”, in cui sono i fattori attraverso i quali la società crea valore a tracciare una nuova disposizione geografica segnata dalle diseguaglianze. In questo modello, Milano sembra sovrastare su tutti gli altri centri, e in particolar modo poli come Venezia rischiano di perdere potenziale crescita data la poca attrattività a livello imprenditoriale. Con ciò non si intende dire che il capoluogo sia esente da attività economiche, ma piuttosto si vuole evidenziare come queste siano antiquate e dequalificanti, facendo perdere appetibilità alla città stessa. In particolar modo, il turismo rappresenta un tema di discussione sia sul campo economico che sostenibile.

Corò ha contribuito al discorso affermando che questo settore “desertifica le fonti di conoscenza complessa”. Superata infatti una certa soglia, la competizione per le altre attività diventa difficile: tanto più il turismo cresce, tanto meno si riescono ad attivare delle filiere locali e uniche, fondamentali per un'economia prospera.

Per questa ragione Venezia, dove decine di migliaia di persone arrivano ogni giorno, deve cercare di emanciparsi dalla passiva accettazione di questo fenomeno, al fine di favorire un'economia diversificata e dunque più attrattiva.

Riconoscendo le complicanze proprie del modello veneziano, ora più che mai serve concepire un piano di azione che permetta uno sviluppo al contempo sostenibile e prosperoso.
Per arrivare a questo fine, gli autori suggeriscono un modus operandi basato su una comprensione olistica della situazione: capire infatti le dinamiche su cui si basa il cambio paradigmatico e imparare da realtà già consolidate è fondamentale per rendere Venezia una vera e propria
periferia competitiva.

L’intervento di Buciuni ha sottolineato quest’ultimo aspetto: “Tra le motivazioni che spingono le persone, soprattutto i giovani, a trasferirvici - nelle Alpha Cities - , c’è la sensazione di gravitare attorno a posti rilevanti, dove si sa che il futuro batterà il colpo”.
La laguna stessa, in questo senso, può essere considerata il centro del mondo in un periodo dell’anno, quello della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, in cui l’apporto settoriale della laguna è unico e senza precedenti.

Il problema, però, persiste siccome quest’evento copre solamente due settimane in un anno, e alla fine di suddetto periodo la città passa direttamente in secondo piano nel settore. Serve dunque rendere questa centralità periodica una centralità perenne, favorendo un settore che potrebbe rendere l’intera laguna più attraente in una dimensione sociale e culturale refrattaria al cambiamento.

Nonostante questo modello limitante per territori come l’isola, il potenziale cambiamento non è utopistico. Esistono infatti periferie “competitive”, ovvero territori che contro le previsioni hanno dimostrato elasticità nel riconfigurarsi e consolidarsi come centri attrattivi.
Un esempio è Galway, una città sulla costa atlantica irlandese che storicamente soffre sia per l’influenza della capitale Dublino, che per il posizionamento isolato dal punto di vista geografico, rendendosi a tutti gli effetti una “periferia di una periferia”.

Cittadina povera negli anni ottanta, grazie alla manovalanza di basso costo, è riuscita ad attrarre imprese internazionali che, investendo nel territorio e creando la possibilità di formarsi e mettersi in proprio, hanno reso la città un polo biomedico mondiale. In Italia, la Via Emilia rappresenta l’attrattività regionale a cui Venezia dovrebbe mirare. A dimostrare ciò, poli come Bologna, Modena e Parma, presentano un saldo positivo per quanto riguarda giovani in entrata.

Elementi comuni a questi due esempi sono la presenza di multinazionali che, pur in settori e forme diverse, creano conoscenza complessa grazie al supporto delle università. Appunto, le materie STEM diventano la base fondante dell’innovazione, e tutti i casi studio analizzati soddisfano il requisito di importanti dipartimenti in questi campi.

Un altro elemento fondamentale per il raggiungimento del potenziale di queste periferie è il contesto finanziario. In particolar modo le banche territoriali svolgono un ruolo pivotale nella crescita di progetti e imprese; e notizie come la cessione di Banco BPM, gruppo bancario con sede a Verona, a Unicredit, rappresentano un campanello d’allarme. Infatti, la tendenza a centralizzare questi enti finanziari, non permette il dialogo tra questi e gli imprenditori, i quali sono direttamente influenzati da questa situazione.

Venezia, come stai?”


I macro temi affrontati in mattinata sono stati ampliati nella seconda parte dell’evento, grazie all'organizzazione di una tavola rotonda in cui le tematiche introdotte sono state discusse da partecipanti direttamente coinvolti dalla complessità di questo argomento.

Il confronto è avvenuto presso la sede di “The Human Safety Net”, ente fondato da Generali con l’obiettivo di aiutare i più vulnerabili desiderosi di integrarsi attraverso il lavoro e l’imprenditorialità. La discussione è stata caratterizzata da un primo focus relativo all’isolamento del territorio lagunare. È infatti stato evidenziato come Venezia, da sola, non può affrontare le sfide attuali. È necessario un dialogo con territori limitrofi, atenei, imprenditori e pubblica amministrazione.

In particolare, le università, come spiegato dai professori Corò e Legrenzi, svolgono un ruolo fondamentale nella centralità di questi territori: sono esse infatti essenziali e indispensabili per aumentare l'attrattività dei luoghi anche in un’ottica lavorativa. Il professor Legrenzi, ha evidenziato come gli atenei abbiano bisogno di un processo di internalizzazione che renda l'area attrattiva a livello nazionale. L’Italia intercetta solo l’1% dei 7 milioni di universitari che studiano in un paese diverso da quello di provenienza, e di questi solo il 15% si trattiene dopo il conseguimento della laurea.

Come già discusso in precedenza, Venezia ha un problema di attrattività che implica complicazioni demografiche significative: centomila abitanti in quarant’anni hanno lasciato Venezia, e la popolazione under trentacinque si è dimezzata. Questi dati evidenziano un’emergenza che richiede delle scelte urgenti da parte degli atenei, soprattutto per valorizzare e migliorare il rapporto con il territorio.

Nicola Pellicani, ex deputato e consigliere comunale di Venezia, nonché segretario della fondazione Pellicani, ha evidenziato la criticità della situazione demografica nella laguna, e di come questa si relazioni con il mondo del lavoro locale.
Venezia infatti, data la sua monocultura turistica, risulta una città povera poiché il lavoro proposto è un lavoro dequalificante, a basso valore aggiunto, spesso precario o stagionale, e con meriti bassi. Questo dunque provoca un disinteresse per giovani studenti o imprenditori che, data l’opportunità, non esitano a lasciare la laguna.

Pellicani, nonostante il quadro non ideale, ha evidenziato come la vitalità e l’energia dimostrata dalle persone che osservano i problemi della città - come i presenti alla discussione - possa rappresentare un punto di partenza fondamentale per stimolare il dialogo, promuovere soluzioni innovative e avviare un percorso condiviso verso un cambiamento concreto e sostenibile.

Un esempio di questa vitalità può essere trovato in VeniSIA, un acceleratore di innovazione e sostenibilità. Idea del professore presso Ca’ Foscari Carlo Bagnoli, l’ente è stato creato per rispondere a criticità di tipo sostenibili e sociali.
Amanda Milaqi, communication strategist di questo, ha fin da subito messo in chiaro la volontà di VeniSIA stessa di far crescere nuovi business tramite lo sviluppo tecnologico, riuscendo così a riportare splendore a Venezia.

Questo ente rappresenta al meglio la collaborazione tra la parte accademica e i partner industriali, coinvolti in rapporti con collaboratori istituzionali e startup. Questo esempio di azione può permettere a Venezia di essere considerata una piattaforma marketing per nuovi business innovativi.

“I giovani sono affamati di opportunità, le rincorrono, e rincorrendole portano con loro innovazione”. Queste le parole di Osama Andrawes, componente del consiglio di amministrazione dell’università Ca’ Foscari. Il suo intervento è stato fondamentale per riconoscere la necessità di una politica pubblica adeguata ed una governance compatibile per sviluppare un ecosistema sostenibile, alternativo e produttivo; riconoscendo ancora la necessità dell’instaurazione di relazioni tra gli agenti del territorio quali università, istituzioni ed imprese.

Maurizio Busacca, docente di Sociologia economica a Ca’ Foscari, ha contribuito al discorso analizzando il termine “Attrattività”, usato spesso e dato per scontato a causa della storia e bellezza di Venezia. Ma per chi è attrattiva Venezia?

È attrattiva per le imprese? Potenzialmente, ma i dati mostrano l’assenza di insediamenti produttivi di particolare pregio.
È attrattiva per nuovi cittadini? Non c’è interesse concreto a stabilirsi. Il potenziale dell’attrattività non è abbastanza, l’operabilità e la praticabilità sono prerogative fondamentali.

I dati dimostrano che Venezia non è attrattiva nemmeno per gli studenti, internazionali, come già discusso, ma anche italiani.
Dunque è possibile individuare una serie di problemi, ma ciò non significa che Venezia sia un problema.

Il sovraffolamento turistico, assieme alla polarizzazione propria dell’economia della conoscenza, ha cambiato radicalmente la vita cittadina e lavorativa della laguna, stravolgendo inevitabilmente qualsivoglia piano politico di sviluppo di quel periodo.

Infine, Michele Gazzola, Consiglio generale Confindustria Veneto Est, è riuscito ad analizzare criticamente la situazione dal punto di vista degli imprenditori. Infatti rispetto al mondo lavorativo, ha denotato come l'assenza di risorse e la mancanza di profili qualificati siano problemi discussi in maniera ricorrente, ma denotando un impreparazione generale.

Venezia non è un problema, ma presenta una serie di difficoltà che emergono particolarmente quando il progetto novecentesco della Grande Venezia incontra alcuni fenomeni.
La città era stata disegnata per ospitare i turisti al lido, la cultura nel centro storico, la residenza in terraferma, e l’industria a Porto Marghera. La transizione in un modello economico globale e iperconnesso, con l’esplosione del turismo e l’economia della conoscenza, ne ha, però, evidenziato le criticità. La polarizzazione delle varie aree, come le disuguaglianze in termini di opportunità lavorative e retribuzione, indica la necessità di ripensare la dimensione territoriale.


Tuttavia è fondamentale tenere in considerazione il fattore del tempo: ci troviamo in un mondo così frenetico da cambiare aspetto e bisogni in un tempo così breve da richiedere una buona dose di pragmatismo e visione.

Da ormai qualche decennio si concepisce il concetto di “PaTreVe” (Padova, Treviso, Venezia): il riconoscimento di rapporti funzionali tra aree, uscendo da un’autoreferenzialità veneziana può rappresentare una proposta di sviluppo praticabile.

Solamente attraverso il nostro impegno concreto possiamo trasformare le complessità del presente in occasioni per costruire un futuro più inclusivo e sostenibile. Venezia non è solo il luogo che attraversiamo: è lo spazio che possiamo contribuire a trasformare.
Concludiamo, con la domanda e considerazione finale del presidente di Polis Simone Rizzo, con lo scopo di far riflettere studenti, professori e lettori:

“Consideriamo il nostro tempo a Venezia come un periodo transitorio, in cui preparare un vago numero di esami, che si conclude con una splendida cerimonia in Piazza San Marco, o come un’opportunità di conoscere e far parte di un territorio con un’identità, formando una comunità viva e consapevole?

Non dovremmo esercitare un atteggiamento passivo verso i fenomeni che ci circondano, a prescindere dalla loro grandezza e la nostra relativa impotenza, ma piuttosto manifestare una postura critica e un comportamento proattivo per dimostrare il nostro interesse e il nostro contributo a trasformare sfide locali in opportunità globali.”

Di Federico Zanutto e Lorenzo Viterbo